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La patologia di spalla più frequente: la lesione della cuffia
La patologia che trattiamo con maggior frequenza è la lesione dei tendini della cuffia dei rotatori, che avviene a seguito di usura, micro-traumi ripetuti o più raramente traumatismi maggiori. Queste lesioni sono comuni specialmente dopo i 40 anni e la loro frequenza cresce proporzionalmente all’età.
Le lesioni di cuffia beneficiano in buona parte dei casi di una gestione non chirurgica, che si avvale di protocolli rieducativi ed eventualmente infiltrazioni con corticosteroidi.
Sono candidati all’intervento, che avviene con tecnica artroscopica, soprattutto pazienti con lesioni evolutive, vale a dire quelle che lasciate a se stesse comportano il rischio di aumento della dimensione dello “strappo“ fino al punto di non essere più riparabile.
A tale proposito è da sfatare la convinzione che, oltre una determinata età, (alcuni studi del passato ponevano come limite i 65 anni) i tendini lesionati non meritino la riparazione perché destinata all’insuccesso.
I criteri che guidano la scelta sono evidentemente ben più articolati e contemplano alcuni parametri individuati attraverso gli esami strumentali, di cui il più affidabile è la Risonanza Magnetica ad alto campo. In particolare si valuta quanto il tendine si è ritirato dalla sua sede originale, quando è vitale il muscolo che comanda il tendine e quale consistenza ha la sede ossea dove vanno fissate le viti di ancoraggio del tendine oggetto di riparazione.
Il trofismo muscolare della cuffiia visto con RMN ad alto campo: a sinistra trofismo normale, a destra grave atrofia
Video di riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori, che ha il vantaggio di utilizzare un numero limitato di ancore e di realizzare un costrutto robusto, grazie ai numerosi passaggi delle suture ad alta resistenza attraverso i tendini
Video di riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori con tecnica Kringle.
L’indicazione chirurgica dipende anche, in alcuni casi direi soprattutto, dalla tipologia di paziente che abbiamo di fronte: un settantacinquenne sportivo in buone condizioni di salute può essere ancora un ottimo candidato all’intervento di riparazione, mentre un coetaneo sedentario in condizioni non ottimali può farci decidere per il trattamento incruento. In molti casi la severità della lesione non rende più possibile la riparazione, ma i pazienti necessitano comunque del trattamento chirurgico se il dolore non si risolve con la terapia farmacologica o infiltrativa. In questi casi effettuiamo gesti chirurgici detti palliativi, che consistono in buona sostanza nell’asportazione di tessuti infiammati (tenotomia del capo lungo del bicipite, debridement, bursectomia) o nella levigatura di sporgenze osse che danneggiano i tendini (acromionplastica).
La tenotomia artroscopica del bicipite nel trattamento delle lesioni della cuffia dei rotatori in pazienti selezionati produce un buon miglioramento oggettivo e un alto grado di soddisfazione del paziente.
La lussazione della spalla
La fascia più giovane dei nostri pazienti, ad iniziare dall’età adolescenziale, è quella interessata dalla patologia da instabilità della spalla, frequente nei pazienti sportivi, di cui la manifestazione più eclatante è la lussazione, che può essere legata a condizioni predisponenti quali una esagerata elasticità dei tessuti capsulari, definita iperlassità costituzionale di spalla, o traumatismi veri e propri, frequenti negli sport di contatto quali calcio, rugby, basket e sport di impatto quali sci e snowboard, downhill e motocross.
Se un primo episodio di lussazione o una instabilità in un soggetto iperlasso beneficiano spesso del trattamento rieducativo, con il potenziamento dei muscoli che stabilizzano l’articolazione, i pazienti con più episodi di lussazione sono dei buoni candidati alla chirurgia. In questi soggetti effettuiamo interventi di ritensionamento capsulare quando l’instabilità dipende soprattutto dall’eccessiva elasticità della capsula o da uno scollamento della stessa dalla glenoide scapolare. In questi casi la procedura si definisce capsulo plastica artroscopica, schematizzata nell’ immagine precedente, ed ha il vantaggio, anche grazie a tecniche che abbiamo noi stessi implementato, di essere quasi esente da cicatrici visibili. In altri casi il problema è più complesso in quanto durante gli episodi in cui la testa omerale fuoriesce dalla glena scapolare quest’ultima subisce una frattura o l’osso della glena si usura progressivamente.
Per quanto è stato possibile mi sono molto impegnato nel tempo per rendere meno traumatizzante la procedura e, in particolare, per eliminare una fastidiosa complicanza dell’intervento di Lataryet, che consiste nella formazione di ematomi nelle giornate successive all’intervento.
Proiezione frontale di una glenoide normale con la tipica forma a pera a sinistra, proiezione frontale di una glenoide con difetto osseo anteriore che ne modifica la forma a pera a destra.
In questi casi l’intervento sulla capsula da solo non può evidentemente essere risolutivo, per cui utilizziamo una tecnica che prevede di colmare il difetto della glena con l’innesto di una piccola porzione ossea, la coracoide, prelevata dalla scapola attraverso lo stesso accesso chirurgico, che di regola non supera i 4-6 cm.
Si tratta della procedura messa a punto dal chirurgo lionese Michel Lataryet a partire dal 1954, che ho avuto la possibilità di apprendere proprio a Lione da Gilles Walch, uno dei miei maestri francesi autore del perfezionamento della metodica.
Per quanto è stato possibile mi sono molto impegnato nel tempo per rendere meno traumatizzante la procedura e, in particolare, per eliminare una fastidiosa complicanza dell’intervento di Lataryet, che consiste nella formazione di ematomi nelle giornate successive all’intervento.
A questo proposito mi è stato di grande aiuto assistere ad interventi di chirurgia generale e vascolare per migliorare la tecnica di legatura dei vasi. Dopo un intervento per instabilità manteniamo un tutore reggibraccio per 4 settimane e poi iniziamo la rieducazione che si prolunga per altri due mesi. Gli sport a basso rischio traumatico potranno essere ripresi dopo tre mesi mentre quelli di contatto o impatto dopo 4-5 mesi.
Il mio cavallo di battaglia: la protesi di spalla
Fra gli interventi che effettuo di routine quello da cui ho tratto le maggiori soddisfazioni è la sostituzione protesica di spalla, approccio che si rende necessario in presenza di gravi patologie degenerative, dove la degenerazione può riguardare le cartilagini articolari (la comune artrosi) i tendini della cuffia dei rotatori o entrambi.
In caso di artrosi isolata e tendini integri si utilizzano protesi cosiddette anatomiche, che riproducono la geometria dell’articolazione normale.
Se invece la degenerazione interessa, in forma grave, anche i tendini della cuffia dei rotatori, si utilizza la protesi inversa in cui, a differenza della spalla normale, la componente convessa viene impiantata sulla scapola e quella concava all’interno dell’omero.
Senza entrare in dettagli tecnici, peraltro facilmente reperibili sul Web, in questa sede mi limito a sottolineare che il grande merito di Paul Grammont, ideatore della protesi inversa, è stato quello di creare un modello che permette a pazienti che hanno perduto completamente la funzionalità della spalla un recupero davvero sorprendente.
La protesi inversa ha conosciuto la sua diffusione negli ultimi 20 anni, in quanto ha reso possibile il trattamento di patologie per le quali in passato non disponevamo di una soluzione efficace.
Il mio interesse per la chirurgia protesica ha i suoi fondamenti nella formazione che ho ricevuto presso l’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, che iniziai a frequentare nel 1987. In quella sede il Dott. Lorenzo Spotorno aveva creato un centro di chirurgia protesica d’anca e ginocchio, iniziativa unica nel suo genere a livello nazionale. Spotorno, personaggio geniale e carismatico, ideatore, tra l’altro, di una protesi d’anca per quei tempi innovativa, che lo aveva reso noto in tutto il mondo, è stato probabilmente il chirurgo che più mi ha influenzato. In quel periodo la protesi di spalla in Italia era quasi sconosciuta ma, a poche ore di viaggio in auto da casa mia, operavano due chirurghi francesi divenuti in seguito opinion leader internazionali: il Prof. Pascal Boileau di Nizza e il Dr. Gilles Walch di Lione, che mi accolsero di buon grado tra i loro discepoli e a cui devo i “fondamentali“ della chirurgia di spalla.
Negli anni successivi frequentai altri due fuoriclasse: il Dr. Laurent Lafosse di Annecy e il Prof. Cristian Gerber a Zurigo.
Dott. Lorenzo Spotorno
Gilles Walch
Pascal Boileau
Laurent Lafosse
Christian Gerber
“Il modo migliore di onorare i miei maestri credo sia stato quello di ricercare il continuo miglioramento delle tecniche, la loro semplificazione e la riduzione dei i tempi di esecuzione.”
Oggigiorno siamo in grado di effettuare una sostituzione protesica di spalla di routine in circa 45 minuti e di contenere il ricovero in un paio di giorni, anche grazie all’evoluzione delle tecniche anestesiologiche e quelle finalizzate a ridurre il sanguinamento.
Nel campo della protesica sono di importanza capitale i materiali utilizzati, da cui dipendono efficacia, sicurezza e durata negli anni dell’impianto.
A tale proposito ho sempre trovato grande disponibilità da parte della Direzione delle strutture dove effettuo questo genere di interventi, nel concordare l’utilizzo dei migliori prodotti.
La capsulite adesiva
Altra patologia interessante e per certi versi misteriosa, è una condizione che comporta oltre al dolore, una graduale perdita di mobilità.
Si tratta della capsulite adesiva (o spalla congelata, frozen shoulder), una malattia infiammatoria dolorosa e invalidante di cui non si conosce l’origine, più comune nel genere femminile e nella quarta-quinta decade di vita. Il processo infiammatorio della capsulite si estende ai nervi del plesso brachiale, da cui il dolore intenso e diffuso. Nelle forme avanzate di capsulite vi è una limitazione di elevazione, extrarotazione ed intrarotazione. L’inizio è subdolo con dolore di varia intensità e progressiva limitazione dei movimenti senza una causa apparente, il che disorienta i pazienti e ingenera la preoccupazione di una malattia ben più severa. Come per la maggior parte delle patologie è di fondamentale l’importanza la diagnosi precoce: se inquadrata tempestivamente, la capsulite guarisce senza esiti in poche settimane, in caso diverso il recupero può richiedere tempi molto più lunghi e lasciare qualche limitazione permanente. Tranne per alcuni rari casi, il trattamento della capsulite non è indicato alcun intervento chirurgico. Il nostro compito di specialisti è duplice: stabilire la diagnosi e gestire la componente infiammatoria con infiltrazioni di cortisone a lento rilascio, che va introdotto all’interno dell’articolazione, pratica non banale, specie in questi casi dove lo spazio articolare tende a ridursi.
In questo senso è di grande aiuto la manualità acquisita dal chirurgo di spalla di lungo corso dopo migliaia di procedure artroscopiche.
Stabilita la diagnosi e messa in opera la gestione del dolore il paziente viene indirizzato verso il fisioterapista che, con un lavoro prolungato di “sblocco“ diventa il vero protagonista del percorso di guarigione.
Segreteria: 331 1040335
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Studio medico Vallecrosia
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